Domenico Salvatore Cigna fu una bella figura di uomo politico, avvocato, studioso del diritto e letterato. Nacque a Canicattì il 28 luglio 1878 da Teresa Brutto e Alfonso Cigna, notaio, figlio dell'avvocato Francesco, mazziniano e rivoluzionario. Studiò giurisprudenza a Palermo, ove frequentò gli ambienti socialisti della Federazione e la sede del "Giornale dei Lavoratori". Dopo la laurea si trasferì a Girgenti, ove esercitò con successo la professione di avvocato.
A Canicattìì nel 1901 fondò e diresse "La Folgore Socialista"; il foglio aveva come redattore il fratello, farmacista Diego, ed era stampato dal terzo fratello, Giuseppe, di professione tipografo; il periodico, di quattro pagine, sotto la testata portava il seguente motto:
"L'amore che è in te stesso, in noi è l'universo;
l'odio che è in te è ribellione, in noi è rivoluzione".
Domenico Cigna fu socialista e anticlericale: su "La Folgore" nel 1901 comparve un articolo (non firmato ma certamente del direttore) intitolato con sarcasmo "Le glorie della Chiesa" in cui si elencavano le benemerenze di tanti ecclesiastici: l'introduzione a Roma delle "case di prostituzione" ad opera di Sisto IV, le uccisioni e le torture messe in atto da Torquemada e dai suoi carnefici, gli amori incestuosi dell'antipapa Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa) (1370-1419) e di papa Alessandro VI; e ancora le precauzioni di Emanuele IV di Portogallo e Luigi XIV di Francia che, recandosi ad incontri amorosi (il primo in un convento di suore che era il suo serraglio), portavano appresso il confessore per godere subito dell'assoluzione e del viatico in caso di incidente.
Il
1° marzo 1901, per i suoi "articoli di fuoco" sulla situazione politica e le
condizioni di vita dei lavoratori, Domenico Cigna fu arrestato, insieme al
fratello Diego, e condotto al carcere di San Vito a Girgenti. Egli stesso
racconta il suo trasferimento alla stazione di Canicattì, alla volta di
Girgenti: "Ammanettati in un quadrante strategico di numerosissimi carabinieri,
eravamo arrivati alla stazione, quando, nell'ampia spianata antistante,
trovammo ferma e compatta una folla di molte migliaia di persone, che si aprì
di incanto e ci fece subito luogo. Ma non un grido solo, non un abbasso, non un
tentativo di applauso o di evviva: nulla ... e invece come ci fosse stata una
parola d'ordine, con un gesto solenne e simultaneo, tutti, al nostro passaggio,
si scoprirono il capo con una gravità più che ossequiente, corrucciata e
ammonitrice. Raccogliemmo quel gesto religioso di solidarietà e protesta con un
brivido di commozione, e salimmo sul treno". (Mario La Loggia, "Domenico
Salvatore Cigna", in AA. VV., "Agrigentini illustri
(1890-1940)", Agrigento, 2001).
Appena
usciti dal carcere, i fratelli Domenico e Diego Cigna ripresero la loro
attività politica e, nelle elezioni amministrative del 21 luglio 1901,
portarono al Comune ben tre consiglieri socialisti su quindici. Era una
affermazione assai significativa dal momento che le condizioni di censo e di
cultura impedivano la partecipazione al voto dei meno abbienti: tutti i votanti
peraltro furono appena 421. "La Folgore", nel riportare i nomi degli
eletti ed i voti riportati da ciascuno, esprimeva la soddisfazione dei
socialisti: "Domenico Cigno (socialista) 237, Rosario Pillitteri 231, Avv.
Vincenzo Falcone 228, Diego Lalumia, 224, Bar. Agostino La Lomia 221, Cav.
Diego Gangitano 220, Cav. Salv. Lombardo 214, Dottor. L. Marchese 213,
Cigna Calogero 196, Ing. Gaetano De Caro 193, Pietro Di Prima 178, Stefano
Marotta (socialista) 176, Stefano Aronica 174, Argento Angelo (socialista) 157,
Livatino Giuseppe 149. Immediatamente dopo, tra i caduti (i non eletti),
vengono Carlo Rumbolo (socialista) 148, Andrea Brancato (socialista)
143. Come si sa però noi combattevamo per conquistare i tre posti della
minoranza". ("La Vittoria!", in "La Folgore", Canicattì 28
luglio 1901).
Nel
1911, sempre a Canicattì, Domenico Cigna fondò "Il Ranocchio
- Giornalillo per tutti e nessuno". Nel 1919 fu candidato al
Parlamento nelle liste del Partito Socialista nel Collegio di Canicattì ma,
nonostante i 6.813 voti, il partito non conquistò alcun seggio. Fu eletto
deputato nelle successive elezioni del 15 maggio 1921, giurò il 13 giugno, ma
fu convalidato, per una serie di ricorsi, solo l'otto maggio 1922. La notizia
della convalida da parte della Giunta parlamentare delle elezioni e della
Camera fu accolta con grande gioia dai socialisti canicattinesi e con grande
disappunto da parte degli avversari ("L'On. Cigna convalidato"
(articolo firmato "l'ultimo", pseudonimo di Diego Cigna), in
"Falce e Martello", Canicattì 28 maggio 1922).
Famoso
il suo discorso alla Camera del 15 dicembre 1921 in cui, relazionando
sull'ordine pubblico in Sicilia, parlò apertamente di collusioni tra mafia e
politica. L'intervento di Domenico Cigna ebbe vasta eco in tutta la stampa
nazionale: Epoca, Il Popolo Romano, Il Messaggero, Il Paese, L'Avvenire di
Alcamo, L'Avanti!, Il Corriere di Catania, Il Corriere dell'Isola, La Regione,
Il Corriere d'Italia e tutti i settimanali delle province siciliane. Da
"Epoca": "Il nuovo deputato socialista di Girgenti, con temperata
eloquenza, ha ieri detto alla Camera cose gravi sulla vita provinciale in
Sicilia. Il discorso, materiato di fatti, e senza alcun accento iroso o
eccessivo, ha tenuto desta l'attenzione dell'Assemblea ed ha prodotto viva e
profonda impressione. Vi è laggiù un ripullulare di vecchi odii e di
ignobili clientele, che rendono l'aria irrespirabile.... Il Cigna ha fatto
rivelazioni impressionanti. Una testimone, sospettata di dire la verità in un
processo, che si svolgeva alle Assise di Girgenti, fu semplicemente soppressa
dalla mafia locale". "Il Messaggero" dedicò al discorso di Cigna
"l'articolo di prima colonna", con questo titolo: "Il grido della Sicilia".
"Il Paese" così titolò: Sicania clamat.
Particolare
attenzione fu riservata, naturalmente, dall'"Avanti!": "Il compagno
Cigna è stato seguito con attenzione durante la sua appassionata
documentazione; ha messo in rilievo l'influenza della mafia nella vita sociale
siciliana e tutta la sua azione delittuosa che impedisce ai lavoratori la
libera esplicazione delle loro quotidiane incombenze. Il compagno Cigna ha
accennato anche a certi uomini politici che in Sicilia fondano la loro forza
nelle delinquenza organizzata. I suoi accenni a certa magistratura asservita
alla mafia non sono stati bene accetti a quei deputati indigeni che non sono
del tutto estranei alla tragica situazione della Sicilia, ma la Camera tutta ha
salutato con un sincero plauso il coraggioso discorso del nostro compagno".
("Il coraggioso discorso dell'On. Cigna - Attraverso i giudizi dei giornali
d'Italia", in "Falce e Martello", Canicattì 1° gennaio 1922).
Nel
1922 Domenico Cigna abbandonò il massimalismo socialista e si schierò con i
riformisti di Filippo Turati e Giacomo Matteotti; nello stesso anno a Girgenti
fondò "Le Spiche", organo ufficiale del Partito Socialista Unitario.
Rimase in carica come deputato fino al 1924, allorché il Parlamento fu sciolto
dal fascismo. Si presentò alle elezioni del 6 aprile di quell'anno ma non fu
eletto. La vigilia annotò nel suo diario: "Domani le elezioni generali
politiche. Scrivo queste righe preso dai fremiti. Dio salvi il socialismo e la
civiltà. Mai corsero in Italia vicende più sanguinose e atroci di quelle di
ora. Che accadrà domani? La mia sorte come candidato non mi preoccupa niente,
mentre mi preoccupa invece l'eventualità di una guerra civile con tutte le sue
conseguenze". (Mario La Loggia, op. cit.) Parole davvero profetiche.
Durante
la seconda guerra mondiale Domenico Cigna riorganizzò clandestinamente, in
provincia di Agrigento, il Partito Socialista Italiano e nel 1942 aderì al
Movimento per l'indipendenza della Sicilia. Dopo la Liberazione aprì in
via Atenea ad Agrigento, al secondo piano del palazzo Noto, la
sezione socialista, insieme al professore Antonio Bosco, al cavaliere Settimio
Biondi e all'ingegnere Giosuè Fiorentino.
Nell'esercizio
della professione forense rimase famosa la sua difesa, in epoca fascista, nel
processo Ferrigno di cui si è poi occupato Leonardo Sciascia in "Porte
aperte"; Cigna cercò di strappare l'imputato alla fucilazione, asserendo
che aveva commesso il delitto di cui era accusato in stato di totale paranoia.
Ma il regime volle e ottenne una "condanna esemplare" e la condanna a morte fu
eseguita.
Numerose
le pubblicazioni di Domenico Cigna di carattere letterario e soprattutto su
temi importanti del diritto come le azioni civili da reato e i reati di sesso
nel matrimonio.
Sposò
Caterina Altieri e, col cognato Ignazio, costruì il "GrandHotel
et Agrigentum" nel viale della Vittoria, con splendida vista sulla Valle
dei templi. L'albergo, chiuso per motivi economici, fu poi acquistato dallo
Stato e destinato a sede degli Uffici finanziari.
Morì
ad Agrigento il 13 aprile 1946.