Francesco Forestano Macaluso nacque a Canicattì, il 27 maggio 1885, dallo speziale Giuseppe, fratello del patriota Vincenzo, e da Grazia Provinzano. A Palermo si laureò in Giurisprudenza e frequentò ambienti giornalistici. Fu protagonista della vita politica e culturale di Canicattì.
Partecipò alla fondazione della Secolare Accademia del Parnaso insieme al farmacista Diego Cigna, all'avvocato Salvatore Sanmartino, al dottore Gaetano Stella, a padre Diego Martines, al poeta Peppi Paci e altri.
Nel 1934 pubblicò un poema epico La Parnasiana con lo pseudonimo-anagramma di Fra Neccolò Musasca. Vi si narrano le gesta della Secolare Accademia del Parnaso Canicattinese, ovviamente in tono ironico e dissacrante. Questo il singolare sottotitolo: Puema cu prologu, canti, cudi, meditazioni e ragli - Viridica storia di la Seculari Accademia DU PARNASU CANICATTINISI. L'ironia degli otto canti del componimento è esaltata dall'uso di un metro aulico per eccellenza - l'ottava rima di Ludovico Ariosto e Torquato Tasso - per narrare, in siculo canicattinese, fatti e personaggi non eroici come i protagonisti dei poemi cavallereschi.
Nel 1941 pubblicò L'ISOLA FERDINANDEA E GLI INGLESI - Conversazione radiofonica con gli studenti del Regio Liceo Classico di Agrigento.
Tra le sue poesie più brevi ma più belle ricordiamo:
La carrozza
di li poviri
Davanti...
li cavadda
e lu cuccheri...
E nuddu chi accompagna
di darreri.
Ca la
miseria va... senza un vicinu
Ca la
miseria va... senza un parrinu.
N.N.
Nun sappi
mai cu fussi la so mamma
E mai
duranti vita la pinsà...
Ma 'mpuntu di
muriri dissi "mamma"
Cu l'urtimu sciatuni ca tirà.
ARS
(Assemblea Regionale siciliana)
Ora
n'arrigalaru un Parlamentu,
furmatu di
novanta Deputati;
novanta ni la smorfia, fa spaventu...!
Brillante
giornalista, nel 1913 fondò Il Corriere di Girgenti, organo del Partito
Socialista Riformista della provincia. Nel 1919 fondò e diresse Il Dovere
nuovo.
Seguì
sempre con particolare interesse la coltivazione dell'uva, già in quegli anni
considerata la più grande opportunità economica di Canicattì. Quando, il 20
novembre 1923, fu istituita in città l'Associazione per la difesa
dell'Agricoltura Siciliana - che ebbe come organo di stampa La Difesa Agraria -
Francesco Macaluso fu chiamato a farne parte. Su Il dovere nuovo, nel 1921,
apparve un suo articolo assai documentato dal titolo Note di enologia - Il
mosto nuovo che dava preziosi suggerimenti sulle tecniche della vinificazione.
Nei primi
anni Venti fu presidente del Patronato Scolastico, un ente che portava avanti
iniziative in favore dei ragazzi e dei giovani bisognosi.
Francesco
Macaluso fu protagonista di una vicenda davvero parnasiana: la proposta,
sviluppatasi nel periodo fascista, di cambiare nome alla città di Canicattì.
Uno dei primi ad avanzare quell'idea davvero peregrina fu il professore Alfonso
Tropia che suggeriva di adottare uno dei seguenti nomi: Aincattì, Cabiria
(dagli antichi Cabiri, popolo dedito all'agricoltura) e soprattutto Palmeria,
in onore di Salvatore Palmeri, divenuto signore della città dopo avere
abbattuto l'emiro Melcibiade Mulé. Furono proposti altri nomi: Latonia (in
onore, ironicamente, di Masi Latona, un sempliciotto canicattinese), Parnasia,
Stefania, Alcalà (in omaggio a San Diego, originario della città spagnola),
Nettunia (per ricordare il dio della fontana di piazza IV Novembre). Padre
Diego Martines propose Bonannia, nome bollato da Francesco Macaluso come troppo
femminile.
Il
commissario prefettizio del Comune, dottor Salvatore Iacono, ritenne opportuno
introdurre la nuova denominazione di Palmeria, ma volle coprirsi, chiedendo
preventivamente il parere agli esponenti più autorevoli del Fascio locale. Il 4
agosto 1934 scrisse una lettera "All'Onorevole Generale Grande Ufficiale Luigi Gangitano"
e al Segretario Politico del Fascio di Canicattì, insegnante Giuseppe Alaimo,
comunicando la sua "determinazione" di cambiare il nome della città "sapendo di
andare incontro al desiderio unanime della cittadinanza". Dopo aver fatto un
piccolo excursus storico sull'argomento, il commissario così concludeva: "Tale
nome, oltre che essere storicamente giustificato, è quello che meglio si adatta
ad un Comune, sia per la sua brevità e sia anche per la pronunzia...Trattandosi
di un provvedimento di molta importanza che investe la denominazione del Comune
e dei cittadini nel futuro, mi permetto pregare la S. V. affinché voglia
esprimere al riguardo il suo autorevole giudizio. Con sentiti saluti fascisti".
Su carta
intestata "Partito Nazionale Fascista - Sezione di Canicattì" il 9 agosto
giungeva la risposta del segretario Alaimo: "Ritengo con Lei che il nome più
adatto sia effettivamente quello di Palmeria, poiché Cabiria si riferisce ad
un'epoca molto lontana, quando Canicattì non aveva ancora le qualità del
comune, e Castel Bonanno, oltre ad essere troppo lungo, mi pare sappia di
frazione. Palmeria mi pare quindi il più adatto, oltre che per la sua brevità,
perché ha un'origine guerriera.
Lo stesso
9 agosto 1934 il commissario prefettizio, appena ricevuta la lettera del
segretario del Fascio, adottò una delibera avente come oggetto: "Cambiamento della
denominazione del Comune in Palmeria" e che veniva così motivata in premessa:
"Ritenuta la necessità di modificare la denominazione di questo Comune, la quale
ha molta somiglianza con quella del Comune di "Canicattini" in provincia di
Siracusa; considerato che l'attuale nome di "Canicattì", non sempre da
tutti pronunziato o scritto con l'accento sulla i finale, si presta a
deformazioni poco simpatiche, fino ad arrivare a quella di "Cani-gatti" come
spesso si legge sulle buste delle lettere che provengono da comuni lontani;
ritenuto che il primo possessore della terra di Canicattì fu Salvatore
Palmeri...; ritenuto che nessun Comune d'Italia possiede tale nome, né altro che
gli somigli... Delibera di inoltrare domanda a S. E. il Ministro dell'Interno,
Primo Ministro Segretario di Stato, perché voglia compiacersi provocare il
Decreto Reale con cui l'attuale denominazione di questo Comune sia cambiata in
"Palmeria". La delibera, il 13 agosto, fu inoltrata al prefetto di Agrigento,
Luigi Passerini, per la necessaria ratifica.
La
vicenda sembrava conclusa ma, dopo pochi giorni, il 24 agosto, veniva diffuso
un opuscolo Contro la nuova denominazione che si è proposto di dare alla città
di Canicattì, scritto dall'avvocato Francesco Macaluso e indirizzato a "Sua
Eccellenza Grande Uff. Luigi Passerini Prefetto di Agrigento" e, per
conoscenza, al generale e deputato Gangitano, al segretario del Fascio Alaimo e
al commissario Iacono. Nell'opuscolo l'esponente socialista riportava le
argomentazioni prodotte, in opposizione alla deliberazione sul cambiamento del
nome di Canicattì, in un esposto presentato presso l'Ufficio di Segreteria del
Comune il 16 agosto.
Con stile
forbito e l'abituale vis polemica, Francesco Macaluso, pur ammettendo che il
vecchio nome "non è bello e ci mette in non piacevole, se non ridicola,
rinomanza ormai leggendaria", contestava le argomentazioni portate avanti a
favore del cambiamento del nome e che si riducevano sostanzialmente a due: una
di carattere estetico-morale, "intendi fonetica e lepidezze
giornalistico-letterarie"; l'altra, di carattere postale e commerciale, mirante
ad evitare confusioni con il comune di Canicattini Bagni, in provincia di Siracusa.
Macaluso
avversava soprattutto la scelta del nome Palmeria, che faceva riferimento
al normanno che avrebbe avuto come unico merito quello di aver trucidato
barbaramente Melcibiade Mulè, signore di Canicattì e Ravanusa. Peraltro -
aggiungeva - la figura di Salvatore Palmeri, "il primo abigeatario di Sicilia",
è secondaria nella storia dei Normanni nell'isola, incerta e in ogni caso di
pessima fama: "Salvatore Palmeri, che Dio l'abbia in gloria, non fu che un
semplice proprietario di terre male acquistate! Niente altro!".
Francesco
Macaluso, contrariamente ad ogni previsione, uscì dalla polemica vittorioso: il
prefetto di Agrigento in data 26 settembre 1934 invitò il suo rappresentante al
Comune di Canicattì a chiedere la revoca della propria deliberazione. Il 29
agosto 1934 Salvatore Iacono, "in seguito a nuove considerazioni" che
consigliavano "di soprassedere al precedente provvedimento", adottava una
delibera avente per oggetto "Revoca deliberazione n. 63 del giorno 9 agosto
1934".
Contro la
nuova denominazione si era schierata anche l'Accademia degli Ignoranti, il cui
presidente, Carmelo Marchese Ragona, aveva dato vita ad una petizione
popolare: furono raccolte, su 15 fogli di carta uso bollo, le firme di ben 380
cittadini che furono inviate alle autorità comunali e al Prefetto.
Alla vicenda
Peppi Paci dedicò una sua poesia in cui, dopo aver ricordato i meriti di
Palmeri ed ironizzato sui nomi Latonia e Stefania, concludeva dando
voce alla saggezza antica di Petrappaulu:
Iu sugnu Petrappaulu:
natu ni stu paisi
lassatimicci
mòriri,
sempri Caniattinisi.
Ed anzi, si sapiri lu
Vuliti soccu
penzu,
iu vi lu dicu
subitu:
a cu mangià...
lu senzu?
L'atteggiamento
fortemente anticlericale era una costante nell'attività politica e
giornalistica di Francesco Macaluso. Su La Folla aveva pubblicato nel 1907 un
corsivo contro la sacra rappresentazione del Mortorio: "Finalmente questa
medievale tragedia cristiana che rinnovella alla mente e alla fantasia delle
biascicanti mistiche tutta la fiaba di mille e novecento anni addietro, tutta
la superstizione che l'ignoranza plebea aveva divinizzato, il mortorio che
educa il popolo a via di preparati miracoli e di menzogne, ha gridato gli
ultimi rantoli dell'agonia per la scena Canicattinese, senza la speranza della
rinascita". E proseguiva dicendo di compatire l'ignoranza del popolo, ma di non
poter assolutamente giustificare "sette pionieri della civiltà, sette maestri
elementari, che per la maggior parte si sono dichiarati atei o anticlericali,
che hanno propugnato la scuola laica e l'avocazione allo Stato e che si rendono
poi impresari, attori, protettori e acclamatori della tragedia in parola! Sette
maestri che hanno affidata la missione migliore e più scrupolosa del vivere
civile, dovrebbero vergognarsi di dar pubblica mostra del loro girellismo e
della loro miseria morale. Si dicano clericali e magari sagrestani, purché
siano sinceri!".
Su La
Riforma, nel 1914, polemizzava, sempre in relazione al Mortorio, per un altro
aspetto della vicenda. La filodrammatica che portava in scena la sacra
rappresentazione aveva come protagonisti, soprattutto, impiegati comunali e
maestri elementari; nulla da obiettare: ma i primi chiedevano poi al Comune un
compenso per lavoro straordinario, mentre i secondi pretendevano dal direttore
didattico una "menzione onorevole". Osservava Macaluso: "La cosa ci sembra
addirittura strana ed inspiegabile. Che c'entra il Comune e che c'entra il
direttore delle scuole elementari in una questione assolutamente privata e
personale? E' forse la Giunta ad obbligare i suoi impiegati alla recitazione? E
se è così, perché il Mortorio non si iscena al Municipio?".
Ancora su
La Folla, nel 1907, Francesco Macaluso, utilizzando il secondo nome,
Forestano, attaccava direttamente il vescovo di Girgenti Bartolomeo Lagumina per
la cattiva gestione del Seminario. Nel 1906, infatti, a seguito di ricorsi da
parte di alcuni sacerdoti, il Vaticano aveva sottoposto l'istituto a visita
ispettiva, eseguita da mons. Carlo Perosi (1868-1930), fratello del grande
musicista Lorenzo e futuro prefetto della Sacra Congregazione Concistoriale e
cardinale. A seguito dell'ispezione, furono deposti rettore e vice-rettore del
Seminario, sostituiti dai Padri Lazzaristi. Francesco Macaluso riteneva fosse
un suo merito aver suscitato lo scandalo con articoli apparsi sui periodici La
Battaglia e La Sicilia Socialista.
Sullo stesso
numero de La Folla in un trafiletto intitolato Scuola di verginità si
ironizzava pesantemente sui corsi che nel mese di maggio di ogni anno si
tenevano "nella scuola-chiesa" di San Diego su vari temi e soprattutto sulla
verginità in genere e su quella della Madonna in particolare: "Documenti per
essere ammesse: età dai 16 anni in poi e discreta avvenenza; niente tasse. Si
avverte inoltre che detto corso tratta la materia solo teoricamente; per la
pratica però si può passare in sacrestia".
Il
trafiletto si concludeva con questa Giaculatoria:
Santa
Vergine mia, fiore incarnato,
Che
concepisti Iddio senza peccato,
Fammi
peccare senza concepire!
Penserò a
te... sul punto di morire"
(Scuola di
verginità, in La Folla - Quindicinale socialista, Canicattì 19 maggio 1907).
Il 3
novembre 1907 La Folla pubblicava integralmente una lettera d'amore inviata ad
una donna di Canicattì da un frate minore del convento dello Spirito Santo che,
proprio per questa relazione, era stato allontanato e trasferito a Bagheria.
Macaluso sosteneva di non aver ceduto alle pressioni di "tutto l'esercito dei
preti e delle donne pie" che volevano impedire la pubblicazione della lettera.
La missiva amorosa, dopo le rituali invocazioni proprie dei francescani: I. M.
I. F. (Iesus, Maria, Ioseph, Franciscus) proseguiva: "Se io sono addolorato lo
lascio alla tua considerazione. Nessuna donna più godrà del mio cuore, perché
il mio non è più con me ma...!!! Quando io vedo ed osservo quel caro e prezioso
ricordo che tu mi desti la mattina del nostro ultimo momento felice, tutto il
mio essere parla, pensa, sospira a te... Non devi dare sazio a nessuno, va pure
alla chiesa, confessati una volta alla settimana... non avere attaccamento ad
alcuno... Ti abbraccio e ti benedico mentre mi segno... tutto tuo...". (L'ultimo
(pseudonimo di Francesco Macaluso), Le gesta del confessionale, in La Folla,
Canicattì 3 novembre 1907).
Esponente
socialista per decenni, nel secondo dopoguerra fu tra i fondatori del Partito
d'Azione in provincia e poi del Partito Repubblicano Italiano. Per quest'ultimo
partito fu candidato alla Costituente nel 1946 ma non fu eletto. Dal 21 agosto
1945 al 19 gennaio 1946 fu Commissario Prefettizio del Comune di Canicattì e,
proprio in quei pochi mesi, furono poste in essere le procedure per la
distruzione del Parco della Rimembranza che si sarebbe realizzata nell'autunno
del 1947 sotto la sindacatura del comunista Francesco Cigna.
Durante
la sua brevissima gestione amministrativa, Francesco Macaluso subì pesanti
attacchi da sinistra con l'accusa di filofascismo. Si difese con energia
indirizzando al Comitato di Liberazione Provinciale un documento dato poi alle
stampe col titolo Per fatto personale.
Si allontanò
da Canicattì dopo il terribile incidente d'auto - avvenuto in contrada
Giacchetto il 25 luglio 1930 - che costò la vita alla moglie Sara
Gangitano, figlia dell'ex sindaco avvocato Diego, fratello del generale on.
Luigi. La notizia colpì l'opinione pubblica ed ebbe vasta eco sulla stampa: su
Il Regime Fascista del 30 luglio 1930 comparve un articolo dal titolo Un'auto in
fiamme-Signora bruciata viva.
L'autovettura
su cui viaggiavano Francesco Macaluso, la moglie Sara e i tre figlioletti -
Giuseppe, Grazia e Diego - ad un certo punto sbandò paurosamente,
capovolgendosi, e quindi fu avvolta fulmineamente e completamente dalle fiamme.
I bambini, seduti sul sedile posteriore, furono salvati dalla badante che
viaggiava con loro. Fu invece inutile ogni tentativo di salvare la signora che
morì tra spasimi atroci mentre il marito, gravemente ustionato, fu ricoverato
in ospedale. Ristabilitosi, decise di trasferirsi ad Agrigento dove creò
una nuova azienda tipografica a seguito della non esaltante esperienza canicattinese
con la Tipografia Cooperativa.
Nel 1961
abitò per un breve periodo a Laveno-Mombello, sul Lago Maggiore, ove risiedeva
la figlia Grazia e quindi si trasferì a Roma ove morì il 3 febbraio 1964.