Quel che resta dell'antica costruzione, oggi, non ci consente di tentare nemmeno una ideale ricostruzione.
Probabilmente il castello venne costruito nel 1089 da Ruggero il Normanno, è anche probabile che nel luogo dove Ruggero I° costruì il castello, vi fosse prima un fortilizio arabo.
E' noto che gli arabi, durante la loro dominazione eressero fortilizi a guardia delle valli e delle strade più importanti dell'isola.
Ruggero I° non avrebbe fatto altro, quindi, che restaurare l'abbandonato "ribat" arabo di Canicattì per assegnarlo ad uno dei suoi amministratori, ad una delle famiglie più fidate tra quelle che avevano proceduto con lui alla conquista dell'isola.
L'ingresso al castello era costituito da un imponente portone centrale, che oltre una corte coperta, introduceva in un ampio cortile nel quale si aprivano i magazzini, le stalle, i fienili, gli alloggi degli armigeri, e una piccola cappella.
Le celle carcerarie erano al pianterreno del castello, attorno a un vasto cortile, al centro del quale si ergeva una cisterna per la raccolta delle acque piovane.
Di fronte, in tre ampie sale, c'era esposta la famosa Armeria.
Al piano superiore, a cui si accedeva da una larga e fastosa scala d'onore, c'erano gli appartamenti nobili del barone e della baronessa, con una grande camera d'angolo, strutturata come cappella per le cerimonie religiose.
Secondo la tradizione, fu il Conte Ruggero a rendere famoso in tutta la Sicilia il castello di Canicattì per avervi trasportato le armi sottratte agli Arabi nella battaglia di Monte Saraceno, per consacrarle all'Immacolata in segno di gratitudine per il miracolo concessogli ed esposte nel castello.
L'Armeria del castello divenne ben presto famosa in tutta la Sicilia, per le armature militari di ogni sorta e dimensione, specie cavalleresche ma ancora di più per l'eccezionale spada e lo scudo del conte Ruggero.
La raccolta venne dispersa nel 1827 quando il sindaco di Canicattì Leonardo Safonte La Lumia, per non pagare una piccola somma per la custodia dell'Armeria, regalava la collezione ai Borboni.
Questi collocarono i reperti nel museo di Capodimonte, da dove, dopo la proclamazione del Regno d'Italia, furono trasferite all'Armeria Reale di Torino.
Epoca di splendore fu per il castello di Canicattì la prima metà del Seicento, in cui barone della città era il duca Giacomo Bonanno Colonna.
Questi preculsore dei tempi gettò le basi per il futuro sviluppo della città nella zona bassa pianeggiante, favorendone il progresso come importante centro viario e commerciale.