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Regione Sicilia
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La storia

vito soldano antica

L'origine di Canicattì è antichissima e leggendaria e risale al V secolo a.c. essendo di tale epoca gli avanzi antichissimi (vasi di argilla, monete, tracce di acquedotti, iscrizioni, rottami vari) ritrovati nelle contrade di Vito Soldano (dove era ubicato il Castello Mozio occupato da Ducezio nel 452 a.c. e attorno a cui si formò, una città esistente durante la dominazione araba come si pùo desumere dal nome Vito Soldano e dal ritrovamento della Madonna di marmo, di epoca bizantina, che attualmente si trova nella Chiesa Madre) e Casalotti, e risultando, inoltre, su un antico itinerario romano la voce Carconiana (piccolo luogo, dove avveniva il rifornimento per gli uomini e i cavalli che vi facevano sosta) sul punto preciso ove sorge Canicattì.

 

Le prime notizie sull'abitato risalgono al XII secolo: il geografo Edrisi cita il casale di Al-Qattà, testimoniando l'esistenza di un fortilizio già all'epoca dell'occupazione araba. La tradizione ritiene, pressoché concordemente, che il borgo medievale fosse arroccato intorno al castello. Non si deve, tuttavia, escludere la possibilità di un altro nucleo nella zona Borgalino, dove si trovano sporadiche tracce di insediamenti riconducibili ad una cultura in cui persistono elementi arabi e dove era possibile l'estrazione della pietra da taglio, giustificando il toponimo Al-Qattà, che in arabo indica "il tagliatore di pietre" qui, inoltre, sul luogo ove insiste la chiesa Santo Spirito, si ritiene dovesse ergersi una chiesetta di età normanna.
 
Diversi i nomi attribuiti alla nostra città Hadagattin, Ayn Al Quattà, Hadag-gattin, ma l'origine del nome Canicattì deriverebbe invece da un toponimo, ancora di origine araba, Handaq-attin, letteralmente "fossato di fango" e di argilla, indicando, così, il torrente fangoso (oggi coperto) che attraversa la città, costeggiando la collina del castello. Tale origine troverebbe conferma in antichi documenti, ove la città è indicata con Handicattini (secolo XV) ed in seguito Candicattini (secolo XVI), fino a giungere al nome attuale. La città avrebbe avuto, quindi, due nuclei originari distinti, uno a valle ed uno più a monte, l'attuale Borgalino.
 
A parte i toponimi d'origine araba, le fonti documentarie non riportano, tuttavia, tale distinzione ed è sempre indicato un unico centro: è molto probabile che anche in origine i due nuclei costituissero un unico insediamento urbano e come tale è stato sempre considerato.
 
Le prime notizie attendibili si hanno dal 1061, con la conquista normanna della Sicilia. Dopo il famoso duello (1089) fra l'emiro Melciabile Mulé e Salvatore Palmeri, conclusosi con la morte del saraceno, il Palmeri ottiene dal cugino del conte Ruggero d'Altavilla, il privilegio di incamerare i beni dell'emiro decapitato, viene nominato barone (il primo di Canicattì), e si impadronisce del castello che oggi è completamente distrutto.
 
Fino alla fine del 1300 non si hanno altre notizie, bisogna però giungere al 1393, quando signore di Canicattì è l'agrigentino Luca Formoso il quale, in seguito ad una ribellione contro il re Martino, fu da questi condannato al carcere ed alla confisca dei beni. Dal 1396 al 1398 ne risulta padrone Rodrigo Fulco Palmeri, mentre nel 1400, ritornò in possesso del Formoso al quale nel 1408, subentrò il barone di Naro Salvatore Fulco Palmeri, già signore di Ravanusa, e dopo di lui la baronia venne ereditata dal figlio Antonio che il 12 novembre del 1448, con atto stipulato a Girgenti presso il notaio Salvatore Piazza, il milite (grado iniziale dell'aristocrazia militare), ormai vecchio e malato, è privo di prole, decise di vendere, al prezzo di 250 onze,  la baronia ad Andrea De Crescenzio, che aveva sposato una nipote di Fulco, figlia di Filippa e Tommaso Crispo.

Andrea, anche per sottrarsi alla dipendenza della famiglia della moglie che abitava a Naro, scelse di risiedere nel Castello di Canicattì che ampliò e rese più funzionale.

Infatti il 3 febbraio 1467 ottiene dal viceré Lopes Ximenes, marchese di Urrea, in nome e per conto del re Alfonso d'Aragona, la facoltà di ampliare i confini del suo territorio e cioè casalis fines dilatati facultas, unitamente alla licentia populandi  poter ampliare i confini di Canicattì ed esercitare su di essa il mero e misto imperio, cioè il potere di amministrare la giustizia civile e penale. Si prodigò a farvi affluire gente da tutte le parti attirandola con agevolazioni e concessioni varie. Secondo la tradizione molti abitanti giunsero dai paesi vicini, in particolare da Naro e da Taormina, circa trecento, i quali, devoti di San Pancrazio, ne introdussero il culto e fecero sì che ne diventasse il patrono. 

Sotto il governo di Andrea De Crescenzio il territorio di Canicattì raggiunse la superficie di circa 800 ettari corrispondenti a 200 salme.

Succeduto al padre (1485) Giovanni De Crescenzio, aprì nuove strade, restaurò ed ampliò il Castello facendolo diventare il Palazzo del Barone.

Esposto a mezzogiorno per una lunghezza di sessanta metri, vi si entrava da un gran portone centrale, da cui si passava in un cortile interno, attorno a cui erano dislocati gli alloggi dei soldati, le stanze dei servi, le scuderie, i magazzini e le celle carcerarie. Attraverso un fastoso scalone si saliva al piano superiore degli appartamenti del barone e della baronessa, divisi da un ampio salone centrale. Diventò un apprezzato benefattore.

 
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